Poi nulla più.

Vedo la luce, mentre osservo il banco dei pesci che sguazza vicino a me.
Eccomi, un altro dei tanti fiori fradici che sta per raggiungere il nostro personale campo santo, sotto la superficie del Mediterraneo.

Vedo la luce, bella sotto questo mare freddo, un freddo che oramai non sento più.
Tanto ci pensa la luce, mi culla, lasciandomi questa sensazione di torpore non poi così sgradevole, anzi, mi fa sentire come se fossi sprofondata nelle lenzuola del mio letto, in stato di dormiveglia, è tutto ciò che desidero è rimanere in quel bozzolo di lenzuola e cuscini, al riparo dal resto del mondo.

Vedo la luce, ed è l’ultima cosa che ricordo, un attimo prima di toccare il fondo sabbioso del mare, un mare che è portatore di novità e morte, con la sua terrificante bellezza, con il suo azzurro cristallino che è contemporaneamente blu profondo.
Anche io sono profonda adesso, compagna di pesci che mi hanno adagiato su questa tavola di sabbia e che ora banchettano con le mie carni, e con le carni dei miei genitori, dei miei fratelli e delle mie sorelle, dei miei nonni e dei loro padri.

Ossa bianche è tutto ciò che rimane di noi, ossa bianche è ciò che siamo tutti, sotto quei colori, e di ossa bianche è fatto il campo santo che si erige sotto la superficie di queste acque azzurre.

Vedo la luce, poi nulla più.

Kiss me.

Vorrei che mi baciasse.
Ma non un bacio qualsiasi, non uno veloce. No.
Vorrei che fosse quasi un gesto disperato, come se da esso dipendessero le sorti del mondo intero.
Vorrei che mi baciasse con forza e decisione, ma con la delicatezza di cui so che è capace.
Vorrei che mi prendesse di slancio, all’improvviso, e mi baciasse, come se dovessimo morire domani e potessimo rinascere con la forza delle nostre bocche che si assaggiano.
Vorrei che mi baciasse facendomi sentire l’unico essere sulla Terra in grado di respirare aria pura.
Vorrei che mi baciasse e basta. Senza “se” e senza “ma”. Senza pensieri e senza rimorsi.
Vorrei che mi baciasse e vorrei che smettesse solo per riprendere fiato, per poi ricominciare.
Ancora, ancora e ancora.
Vorrei che mi baciasse e che nel frattempo mi accarezzasse i capelli, facendoli scorrere tra le dita.
Vorrei che mi baciasse, facendomi sentire leggera come un palloncino di elio che vola, vola, vola, fino a rimanere impigliato nella croce del campanile più alto.
Vorrei che mi baciasse, facendomi sentire l’essere umano più debole del mondo e contemporaneamente la persona in grado di sollevarlo.
Vorrei che, prima di baciarmi, mi prendesse il viso tra le mani, me lo sollevasse e mi guardasse a lungo negli occhi…

Vorrei che mi baciasse. Nulla di più.

Painkiller.

E con te le cose le sento. Dio, con te sento tutto, anche quello che non pensavo potesse far rumore o che non potessi toccare.

Le sento. Sotto la pelle, dentro le ossa, che scorrono tra una cellula e l’altra, che si mischiano con il sangue e l’ossigeno.

Sei pura dolcezza, intrappolata in milioni di spigoli, che sono le tue spalle appuntite e i tuoi fianchi sottili.

E anche se sei più magro di me, hai braccia lunghe e forti, che quando mi stringono mi fanno sentire protetta, come non mi sono mai sentita.

E poi mi stringi piano i fianchi, appoggi la tua fronte contro la mia, ti avvicini. Piano.

Sospiri.

Inclini la testa e ti abbassi leggermente, lasciando un bacio, anch’esso leggero, sul mio collo. Brividi ovunque.

E mi lascio anestetizzare da te.

Lascio che mi abbracci e che soffochi ogni mio problema, ogni mia ansia e ogni mia preoccupazione. Ogni mio dolore.

Ci baciamo, giriamo una canna, facciamo l’amore e poi crolliamo, nudi e fusi insieme.